Il Garante della Privacy a Facebook: stop ai fake e trasparenza sui dati

Facebook dovrà comunicare a un proprio utente tutti i dati che lo riguardano – informazioni personali, fotografie, post – anche quelli inseriti e condivisi da un falso account, il cosiddetto “fake“. Non solo: la società di Menlo Park dovrà bloccare il fake ai fini di un eventuale intervento da parte della magistratura. E’ quanto ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali nella sua prima pronuncia nei confronti del colosso web, nella quale afferma la propria competenza a intervenire a tutela degli utenti italiani. Il social network dovrà, inoltre, fornire all’iscritto, in modo chiaro e comprensibile, informazioni anche sulle finalità, le modalità e la logica del trattamento dei dati, i soggetti cui sono stati comunicati o che possano venirne a conoscenza.

Il Garante ha accolto il ricorso di un iscritto a Facebook che si era rivolto all’autorità dopo aver interpellato il social network ed aver ricevuto una risposta ritenuta insoddisfacente. L’iscritto lamentava di essere stato vittima di minacce, tentativi di estorsione, sostituzione di persona da parte di un altro utente di Facebook, il quale, dopo aver chiesto e ottenuto la sua “amicizia”, avrebbe inizialmente intrattenuto una corrispondenza confidenziale, poi sfociata nei tentativi di reato. Il ricorrente sosteneva, inoltre, che il “nuovo amico” – visto il suo rifiuto di sottostare alle richieste di denaro – avrebbe creato un falso account, utilizzando i suoi dati personali e la fotografia postata sul suo profilo, dal quale avrebbe inviato a tutti i contatti Facebook dell’interessato fotomontaggi di fotografie e video gravemente lesivi dell’onore e del decoro oltre che della sua immagine pubblica e privata. L’interessato chiedeva quindi la cancellazione e il blocco del falso account, nonché la comunicazione dei suoi dati in forma chiara, anche di quelli presenti nel fake.

Prima di intervenire nel merito, il Garante, anche alla luce della direttiva 95/46/ec e delle sentenze della Corte di giustizia europea “Google spain” del 13 maggio 2015 e “Weltimmo” del 1 ottobre 2015, ha innanzitutto affermato la competenza dell’autorità italiana sul caso in esame, ritenendo applicabile il diritto nazionale. La multinazionale, infatti, è presente sul territorio italiano con un’organizzazione stabile, Facebook Italy srl, la cui attività è inestricabilmente connessa con quella svolta da Facebook ireland ltd che ha effettuato il trattamento di dati contestato. Il garante ha accolto le tesi del ricorrente ritenendolo, in base alla normativa italiana, legittimato ad accedere a tutti i dati che lo riguardano compresi quelli presenti e condivisi nel falso account. Ha quindi ordinato a Facebook di comunicare all’interessato tutte le informazioni richieste entro un termine preciso. L’Autorità non ha invece ritenuto opportuno ordinare alla società la cancellazione delle informazioni, poiché esse potrebbero essere valutabili
in sede di accertamento di possibili reati. Ha di conseguenza imposto a Menlo Park di non effettuare alcun ulteriore trattamento dei dati del ricorrente e di conservare quelli finora trattati ai fini della eventuale acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria.

Aborto, Consiglio d’Europa contro l’Italia: discriminati medici e infermieri non obiettori. Lorenzin: dati vecchi

L’Italia discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l’obiezione di coscienza in materia di aborto. Lo afferma il Consiglio d’Europa, accogliendo un ricorso della Cgil e sostenendo che questi sanitari sono vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. “Gli svantaggi subiti dal personale che non ha fatto obiezione”, secondo l’organizzazione di Strasburgo, “emergono semplicemente dal fatto che certi medici forniscono servizi di aborto nel rispetto della legge”, e “quindi non c’è alcun motivo ragionevole od obiettivo per questa disparità di trattamento”.

Soddisfatta per la decisione Susanna Camusso, segretario generale della Cgil: “Una sentenza importante – commenta – perché ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge 194, che non può restare soltanto sulla carta. Il sistema sanitario nazionale, deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando che la legittima richiesta della donna rischi di essere inascoltata. Questa decisione del Consiglio d’Europa riconferma che lo Stato deve essere garante del diritto all’interruzione di gravidanza libero e gratuito affinché le donne possano scegliere liberamente di diventare madri e senza discriminazioni, a seconda delle condizioni personali di ognuna”. La ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, si dice invece stupita: “Mi riservo di approfondire con i miei uffici, ma sono molto stupita perché dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi che risalgono al 2013. Il dato di oggi è diverso”. E aggiunge: “Dal 2013 a oggi abbiamo installato una nuova metodologia di conteggio e nella relazione che abbiamo presentato al Parlamento recentemente non ci risulta una sfasatura. Ci sono soltanto alcune aziende pubbliche che hanno qualche criticità dovuta a problemi di organizzazione. E siamo intervenuti anche richiamando”. Per il ministro “siamo nella norma, anche al di sotto. E non c’è assolutamente lesione del diritto alla salute”.

Alla ministra controreplica lo stesso sindacato. “I dati sono aggiornati alla pubblica udienza che si è tenuta davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo a Strasburgo il 7 settembre 2015 e non sono mai stati smentiti dal ministero della Salute e dal Governo italiano” afferma la responsabile politiche di genere Cgil, Loredana Taddei. “Auspichiamo un confronto serio e definitivo che conduca l’Italia a superare questo stato di disapplicazione e disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni”.

Percorso difficile. Il Consiglio d’Europa riprovera l’Italia perché, nonostante la legge 194/78, l’accesso ai servizi di interruzione volontaria è complicato. L’organismo europeo ha dichiarato, dunque, “ammissibile” il ricorso della Cgil alla Corte sulla violazione dei diritti alla salute delle donne che intendono accedere all’interruzione di gravidanza (secondo le modalità previste dalla legge) e dei medici non obiettori di coscienza.

“Le donne che cercano accesso ai servizi di aborto -si legge nelle conclusioni – continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge “.

Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa denuncia una situazione in cui “in alcuni casi, considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie, oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78”.

Secondo il Comitato, quest tipo di situazioni possono “comportare notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute”.

Pd: “Situazione grave”. “Durante questa legislatura ho presentato diverse interrogazioni al governo sul tema – ha detto la deputata del Pd, Roberta Agostini -. In alcune regioni le percentuali di obiezione tra i ginecologi sono superiori all’80%: in Molise (93,3%), in Basilicata (90,2%), in Sicilia (87,6%), in Puglia (86,1%), in Campania (81,8%), nel Lazio e in Abruzzo (80,7%). Quattro ospedali pubblici su dieci, di fatto, non applicano la legge 194 e continuano ad aumentare gli aborti clandestini. È del tutto evidente come in Italia si stia violando il diritto alla salute delle donne e quanto sia urgente garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza in ogni struttura e su tutto il territorio nazionale, nella piena applicazione della legge 194 del 1978. Chiediamo al governo e alle regioni di agire subito assumendo le misure opportune e necessarie per assicurare i diritti delle donne e dei medici”.

Turco: “Parlamento faccia di più”. “Il pronunciamento del Consiglio d’Europa rileva che l’Italia, al di là dei dati rassicuranti della relazione al Parlamento sull’applicazione della 194, deve fare di più e meglio. Il tema dell’aborto deve essere centrale nelle decisioni politiche e non marginale come invece è”, ha commentato l’ex ministra della Sanità, Livia Turco. “Ci deve essere una vigilanza concreta – insiste- e vanno attivate tutte le azioni pratiche possibili per una regolamentazione efficace dell’obiezione di coscienza, di cui indicazioni efficaci sono contenute nella relazione della commissione di bioetica della Presidenza del Consiglio presieduta da Casavola”.

Meloni contro Strasburgo: “Pronunciamenti ridicoli”. Non concorda con il Consiglio d’Europa la leader di Fdi, Giorgia Meloni, candidata a sindaco di Roma: “I pronunciamenti del Consiglio d’Europa sono ridicoli: si occupano solo di questioni ideologiche, come del resto fa anche la Cgil. In Italia non è troppo difficile abortire: è difficile avere un bambino, anche grazie alle politiche delle istituzioni europee che hanno affamato le famiglie italiane per rimpinguare le casse delle grandi banche e delle lobby che le governano. Cominciamo a destinare al sostegno alla maternità i fondi europei, poi vedremo quante saranno le donne che vorranno abortire”.

fonte repubblica.it

Sperimentazione sugli animali: la lettera aperta al Parlamento della Senatrice Elena Cattaneo

CARO direttore, che cosa diranno in futuro i nostri figli o nipoti e gli storici quando, leggendo i dibattiti parlamentari, scopriranno che alcuni hanno lavorato per determinare il peggioramento delle loro condizioni di salute ed economiche? L’hanno fatto per decenni impedendo la ricerca pubblica sugli Ogm.

E VIETANDONE lo studio o la coltivazione sebbene sicuri. L’hanno fatto più di recente confondendo ciarlataneria e medicina. Lo fanno ogni giorno disconoscendo il valore della ricerca scientifica e l’impegno di ogni giovane ricercatore che, nonostante tutto, si ostina a lavorare in Italia. In modo non meno grave lo stanno facendo anche andando nella direzione di limitare o vietare la sperimentazione animale nella ricerca scientifica. Non stiamo parlando di “vivisezione”, che non esiste nei laboratori di ricerca.

È importante che i cittadini e i malati italiani sappiano che, nel recepire una direttiva europea, il Parlamento italiano, contro la stessa direttiva, ha aggiunto forti limitazioni che comprometteranno il futuro della ricerca biomedica italiana e impediranno, giusto per fare un esempio, lo studio del cancro e gli xenotrapianti. Cioè i nostri figli e nipoti leggeranno che alcuni parlamentari, privi delle conoscenze necessarie, pronunciavano parole come genomica, proteomica, epidemiologia, microcircuiti cellulari per sostenere come questi possano sostituire la sperimentazione animale. Di come quest’ultima ” veniva utilizzata in passato ma oggi esistono metodi più efficaci, come quelli che utilizzano tessuti prodotti in vitro ” o di progetti di ricerca per generare un ” human body on chip ” che, a detta loro, sono usabili ” per valutare rapidamente le risposte del corpo umano a nuovi farmaci”.

Oggi il Senato si appresta a votare alcune mozioni sul benessere animale (giusto), dove la sperimentazione animale viene di fatto equiparata alle crudeltà (assurdo), laddove invece la sperimentazione animale ha come presupposto che gli animali non devono soffrire. Si dice che gli scienziati oggi possono usare un computer, che sarebbe più predittivo della reazione o dell’efficacia di un trattamento rispetto a un modello animale. Senza spiegare chi istruirà il computer con algoritmi (fantascientifici) tali da mimare le risposte biochimiche dell’organismo, dei suoi circuiti umorali, degli organi connessi, di ogni loro singola cellula, ciascuna con i suoi trentamila geni tradotti in centomila proteine funzionali. Non dicono come computer o cellule in un piattino di plastica possono farci capire le basi di malattie multisistemiche, l’attività dei farmaci per la depressione, per i disturbi del movimento o dell’alimentazione, l’insonnia, la Sma, la Sla, la sclerosi multipla, l’Huntington, l’Alzheimer, il diabete, etc. Se è vero che gli animali non sono sempre predittivi, come può un computer essere più predittivo? Oggi il computer K giapponese (che simula solo 1 bilione di neuroni e costa 10 milioni di dollari l’anno) è 1.500 volte più lento della biologia e necessita di 4 anni per simulare una giornata di funzionamento di pochi semplici neuroni. Alcuni parlamentari lamentano che la sperimentazione sia fatta soprattutto su animali maschi e pertanto non sia predittiva per umani di sesso femminile. Invece di chiedere che si investa in sperimentazione animale che riguardi anche il genere femminile ecco la solita proposta del computer. Mi chiedo: ma come si accerteranno che è femmina?

I metodi alternativi (in realtà “complementari”) li creiamo noi scienziati e ne conosciamo bene significato, vantaggi, applicazioni e limiti. E sappiamo che è grazie alla sperimentazione animale che sono state sconfitte malattie che uccidevano milioni di bambini e adulti; che sono aumentate le capacità di trattare farmacologicamente o chirurgicamente malattie a lungo mortali; che abbiamo 4 vaccini contro Ebola e la possibilità di salvare vite umane. È stato anche grazie alla sperimentazione animale se l’aspettativa di vita alla nascita, per i nostri figli e nipoti, oggi supera gli 80 anni; se oggi si sperimentano nell’uomo (anche nel bambino) terapie geniche per diverse malattie; se abbiamo Rna interferenti capaci nell’animale di spegnere geni-malattia; strategie di sostituzione cellulare nel Parkinson di prossima sperimentazione clinica; trattamenti per l’ictus in cui effetto, finestra di opportunità e rischi connessi coincidono quasi perfettamente fra animali e uomo. All’Epfl di Losanna lavorano per ripristinare le funzioni sensoriali e motorie nelle lesioni midollari producendo “device” neuroprotestici che permettono a roditori o scimmie con lesioni di muoversi nuovamente. Mi fermo qui. Ci sono centinaia di esempi. Nemmeno un “capestro voto contro” potrà cambiare questa realtà.

La ricerca in tutto il mondo si attua attraverso la libera competizione tra le idee. Il presidente del Consiglio, alcune settimane fa, sottolineava la necessità che la ricerca italiana fosse più competitiva (io direi anche “attrattiva”) a livello europeo. Giusto. Versiamo il 13% del totale investito in ricerca dall’Unione europea ma i progetti italiani riportano a casa solo l’8% del totale. Cioè con i soldi italiani sosteniamo la ricerca di altri Paesi. Ma come si possono ottenere i dati preliminari che permettono a noi di competere a livello europeo lavorando in un Paese che non ha bandi nazionali per accumulare quei dati o che avversa la sperimentazione animale? Il Governo e il Parlamento devono avere presente che tutto ciò ci renderà isolati e sempre più deboli sul piano dell’accesso a trattamenti più avanzati contro le più gravi malattie e nella competizione al riparto dei fondi per la ricerca. Oltre a questo, le mozioni in discussione sottovalutano pericolosamente i rischi e il peggioramento per la salute umana dei nostri figli e nipoti che deriverà dal rinunciare alla sperimentazione animale. È quindi importante che la comunità scientifica e gli intellettuali italiani forniscano

strumenti al pubblico e ai politici interessati al benessere dei loro concittadini, affinché ogni manipolazione della realtà sia efficacemente contrastata.

(*L’autrice è docente all’Università degli Studi di Milano e senatrice a vita)

Cyberlegs per tornare a camminare con le gambe bioniche

Secondo quanto stimato, in Europa ogni anno si registrano 30 mila casi di amputazioni transfemorali (al di sopra del ginocchio) e grazie al progetto Cyberlegs chi ha subito l’amputazione dell’arto inferiore potrà tornare a muoversi camminando in autonomia.

Il progetto europeo triennale Cyberlegs (CYBERnetic LowEr-Limb CoGnitive Ortho-prosthesis) è stato finanziato dalla Commissione Europea con 2,5 milioni di euro suddivisi tra 5 istituzioni riunite in consorzio, con il coordinamento dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

I sistemi robotici, sviluppati nell’ambito del progetto, sono leggeri, indossabili e riducono il rischio di cadute. Grazie alla combinazione di una protesi robotica e un tutore robotico si potrà inoltre riacquistare fluidità nei movimenti ottenendo una falcata ritmica e sicura.

Active Pelvis Orthosis è un’ortesi bilaterale di bacino, in pratica un tutore robotizzato capace di assistere il movimento che permette di flettere e di estendere l’anca. Contenuto in una specie di zainetto ha un’autonomia di tre ore e permette agli amputati di camminare tanto all’interno quanto all’esterno.

La Protesi Transfemorale robotica permette di camminare, sedersi, salire e scendere le scale in completa autonomia grazie all’impiego di elementi elastici passivi, uniti ad attuatori elettromagnetici che permettono il movimento sia per il giunto del ginocchio sia della caviglia. L’interfaccia con la protesi è ottenuta attraverso sensori che possono essere indossati, costituiti da scarpe “intelligenti”, equipaggiate con sensori che permettono di riconoscere il movimento desiderato dalla persona amputata e tradurre tale intenzione in comandi di movimento che si trasmettono ai motori della protesi.

I risultati ottenuti da Cyberlegs, che hanno già dimostrato la loro funzionalità nelle settimane di test pre-clinici condotti a Firenze, saranno illustrati nel meeting conclusivo con i rappresentanti della Commissione Europea e con i revisori tecnici, in programma martedì 17 marzo alla Fondazione Don Carlo Gnocchi a Firenze.

In Italia prescrizione medica obbligatoria per la pillola dei 5 giorni dopo

di Umberto Buzzoni

Il 12 gennaio la Commissione Europea ha autorizzato l’acquisto in farmacia senza prescrizione medica per il contraccettivo d’emergenza ellaOne (principio attivo Ulipristal acetato), conosciuta come la pillola dei 5 giorni dopo, dopo il parere positivo rilasciato a novembre dal Comitato per i prodotti medicinali umani (Chmp) dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema). Secondo il Comitato, ellaOne funziona meglio se assunto nelle prime 24 ore e può essere usata in sicurezza senza prescrizione medica permettendo così di “velocizzare l’accesso delle donne a questo medicinale, e aumentarne di conseguenza l’efficacia”. ellaOne non è un farmaco abortivo ma un contraccettivo di emergenza che agisce ritardando l’ovulazione.

Questa autorizzazione europea sarebbe applicabile a tutti gli stati membri ovviamente in accordo alle procedure nazionali, ma in Italia il Consiglio superiore di Sanità, a seguito del parere richiesto dal Ministro Lorenzin, ha mantenuto l’obbligo della prescrizione e per quanto riguarda il test di gravidanza sarà richiesto solo se l’anamnesi della paziente induce un sospetto di gravidanza in corso. Nel comunicato diffuso dal ministero della Salute si legge che “In attesa dei dettagli del dispositivo, la decisione è che il farmaco EllaOne debba essere venduto in regime di prescrizione medica indipendentemente dall’età della richiedente. Ciò soprattutto per evitare gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico”.

Il 97% degli alimenti in UE contiene pesticidi nei limiti di legge

di Umberto Buzzoni

Il regolamento Europeo 788/2012 definisce un programma di monitoraggio per garantire ai consumatori degli Stati membri un contenuto limitato di antiparassitari e pesticidi nei prodotti alimentari di origine vegetale e animale.

La Relazione annuale del 2013 dell’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) sui residui di pesticidi negli alimenti è il frutto dell’indagine svolta su 80.967 campioni di alimenti provenienti da 27 Stati membri dell’Unione Europea, Islanda, Norvegia e da Paesi terzi.

I paesi dichiaranti hanno dovuto analizzare 12 prodotti tra materie prime agricole e prodotti alimentari, cioè mele, cavoli, porri, lattuga, pesche, segale o avena, fragole, pomodori, latte vaccino, carne suina e vino, e identificare l’eventuale presenza di 685 pesticidi e la relativa quantità contenuta.

I risultati delle analisi:

  • il 97,4% dei campioni analizzati rientrava nei limiti di legge (non superando i livelli massimi di residui (LMR) stabiliti dalla legge)
  • il 54,6% era privo di residui rilevabili;
  • l’1,5% superava nettamente i limiti di legge con conseguenti sanzioni legali o amministrative nei confronti degli operatori del settore alimentare responsabili;
  • il 27,3% dei campioni presentava residui di più di un pesticida.

L’indagine viene effettuata per valutare se l’esposizione alimentare ai residui di pesticidi può rappresentare un rischio per la salute umana a lungo termine (cronico) o a breve termine (acuto). Secondo le conclusioni dell’Autorità, “è improbabile che la presenza di residui di pesticidi negli alimenti abbia un effetto a lungo termine sulla salute dei consumatori. Per quanto concerne l’esposizione a breve termine, il rischio per i cittadini europei esposti a livelli nocivi di residui attraverso la dieta è stato giudicato basso”.

La Corte di Giustizia Europea sanziona l’Italia per le discariche: 42,8 milioni di euro ogni sei mesi

di Umberto Buzzoni

Nella prima sentenza nel 2007 la Corte di Giustizia Europea aveva dichiarato che l’Italia era venuta meno in maniera generale e persistente agli obblighi definiti dalle direttive europee su rifiuti, rifiuti pericolosi e discariche di rifiuti. Il Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, spiega come questa sentenza si riferisce pero’ ad una situazione relativa a sette anni fa dato che nel frattempo si è passati da 4.866 discariche contestate a 218 rilevate nell’aprile del 2013.

Secondo la Commissione Europea nel 2013 l’Italia ancora non aveva adottato le misure fondamentali per l’esecuzione della sentenza in quanto le 218 discariche non erano conformi alla direttiva sui rifiuti e 16 di queste contenevano rifiuti pericolosi.

Ad oggi si contano 45 discariche e grazie ai 60 milioni di euro stanziati con la Legge di Stabilità 2014 si potranno bonificare 30 discariche e per le restanti 15 sarà poi necessario un ulteriore stanziamento di 60 milioni di euro.

La condanna per l’Italia consiste nel pagamento della sanzione pecuniaria più pesante mai inflitta dalla Corte europea con un importo iniziale per il primo semestre di 42.8 milioni di euro. Una penalità semestrale che andrà pagata fino all’esecuzione della sentenza del 2007 e che verrà calcolata ogni semestre detraendo 200 mila euro per ogni discarica che verrà messa a norma e 400 mila euro per quelle con rifiuti pericolosi.